mercoledì 1 settembre 2010

APERTURA DEL MESE NILIANO - SETTEMBRE 2010

"LA PICCOLA SCINTILLA DI SAN NILO HA GENERATO UN GRANDE INCENDIO" 

Celebrare un evento centenario è sempre fertile occasione di arricchimento culturale: undici secoli fa, nel 910, a Rossano veniva alla luce san Nilo. L’XI centenario della nascita di questa grande personalità medievale, non deve indurci ad una semplice rivalutazione biografica, ma ad una costruttiva riscoperta dell’insegnamento di un santo, di un uomo di grande umiltà che cercò costantemente di illuminare gli spazi oscuri del suo tempo con la luce dell’annuncio del Vangelo.
   Per commemorare degnamente questo rilevante avvenimento centenario, la Parrocchia di San Nilo e Santo Stefano in Gaeta, supportata da annesso decreto arcivescovile, apre ufficialmente il Mese Niliano: questo mese di settembre 2010 si propone quindi di donare alla comunità parrocchiale, e a quanti vorranno partecipare alle numerose iniziative religiose e culturali previste, una scultura a tutto tondo del santo monaco Nilo.

La nostra comunità sente il dovere di rendere omaggio ad un santo che per ben dieci anni sostò, insieme ai suoi monaci, sul litorale gaetano di Serapo. Analizzare attentamente l’esperienza di vita e di santità di Nilo, significa allora scavare a fondo nella storia locale e scoprire che anche il rione di Serapo fu, in passato, teatro di significativi avvenimenti storici.
   È rilevante quindi capire che al fianco della Gaeta ducale e medievale, che ha dato alla città e alla diocesi il culto antico del santi patroni Erasmo e Marciano; e al fianco dell’antico borgo, devotamente legato ai santi medici Cosma e Damiano, esisteva ed esiste una terza Gaeta, quella attualmente rappresentata dai rioni di Serapo, della Catena e di Fontania. Nel lontano 994, questi lembi di territorio agricolo e sabbioso accolsero Nilo con i suoi monaci. Il suo bisogno di solitudine e di silenzio rigenerante lo condusse sul mare di Serapo, e qui Nilo rinvigorì il suo rapporto con Dio, riuscì a scandagliare la propria interiorità per ripulirla a immagine e somiglianza del Creatore.

Ma al fianco della tanto ricercata riflessione ascetica, Nilo perseguì costantemente un attivo impegno in ambito socio-politico. Ed anche a Gaeta quindi confermò il suo ideale di vita monastica, mirabilmente oscillante fra λέγειν καί πράττειν[1]: parole ed opere, riflessione e carità. E così, dopo aver incontrato le più alte cariche imperiali della Calabria bizantina e i regnanti di Capua, a Gaeta ricevette la visita del Duca Giovanni III e dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Ottone III.
  L’incontro con le autorità del mondo medievale, così come il gemellaggio profetico che Nilo instaurò con i benedettini di Montecassino, sono i tasselli di una propensione ecumenica ante litteram: in un mondo spaccato fra autorità imperiale d’Oriente e d’Occidente, il monachesimo di Nilo, così come tutto il resto del monachesimo italo-greco, proponeva una giusta ed equa risoluzione, una conciliazione fra i due mondi, una possibilità tangibile di convivenza fra culture diverse. San Nilo fu profeta dell’unità dei Cristiani.
   Particolarmente significativo fu l’incontro di Gaeta fra Nilo e Ottone III. La più alta carica politica del mondo medievale fece visita ad un monaco umile ed appartato: l’imperatore si spese in favore di un profondo ideale di restaurazione della propria autorità politica attraverso una serie di strategie che vanno sotto il nome di Renovatio imperii; in tale progetto Ottone III coinvolse proprio le maggiori personalità monastiche di tutta Europa, le quali, a suo parere, avrebbero potuto offrire spunti concreti di rinnovamento individuale e collettivo delle autorità politiche ed ecclesiali. Tramite la testimonianza monastica insomma, Ottone III cercava di rivalutare il nome del Sacro Romano Impero, proponendolo come istituzione continentale garante della stabilità e della pace dei popoli europei. Anche Nilo quindi, insieme a Gerberto d’Aurillac, Adalberto da Praga e Romualdo da Ravenna, contribuì fattivamente al progetto universalistico di rinnovamento spirituale e sociale dell’Europa medievale.

Il soggiorno gaetano inoltre, fu caratterizzato da una forte comunicabilità di Nilo con Roma. Lasciando la Calabria infatti, e dirigendosi verso nord, Nilo volle avvicinarsi il più possibile al centro della Cristianità per cercare di concorrere al rinnovamento e alla stabilizzazione del soglio di Pietro, continuamente travagliato dalle lotte per la successione. E proprio mentre si trovava a Serapo, il santo monaco si precipitò a Roma per cercare di sedare una di queste accese diatribe politico-religiose. Il Nilo che si precipita da Gaeta a Roma è il simbolo di un uomo che cerca di gridare al mondo l’attaccamento della sua religiosità italo-greca all’autorità pontificia: si tratta di un atto davvero eloquente per la storia della Chiesa.

La testimonianza di santità insita nel rione di Serapo, non si ferma al solo Nilo, ma si stende sull’altrettanto significativa esperienza dei suoi santi discepoli: innanzitutto santo Stefano di Rossano, primo discepolo di Nilo che nel 1001 morì e fu sepolto proprio a Gaeta; poi san Paolo Egumeno, guida spirituale della cerchia niliana; e infine san Bartolomeo, il quale, nel 997, professò i voti monastici nel monastero di Serapo[2]. Per dieci anni insomma, alle porte del Ducato di Gaeta, un gruppo di monaci dediti alla contemplazione diede lustro alle vicissitudini della Chiesa medievale e della nostra storia, lodando il Signore per intercessione della Vergine Odigitria. L’antico culto mariano di matrice bizantina lambì dunque anche le coste della nostra Gaeta: nella città di Maria è bello riscoprire una scintilla di spiritualità mariana che per dieci anni venne alimentata dai monaci di san Nilo.

In definitiva, la forte testimonianza monastica di Nilo inserisce questo santo nelle trame fitte ed eloquenti della gloriosa storia di Gaeta e del suo Ducato. Per questo possiamo a buon diritto nominare san Nilo “civis cajetanus”: cittadino gaetano che prescelse un posto tranquillo nel Ducato di Gaeta per trascorre gli ultimi suoi anni, gli anni decisivi, gli anni che avrebbero dato ai suoi discepoli direttive monastiche fondamentali per la crescita futura della comunità.
   Gli Acta sactorum testimoniano la volontà delle prime comunità cristiane di fregiare la loro esperienza religiosa con nomi di santi locali. Gaeta quindi non può che gioire nel vedere rivalutato un santo che con la sua presenza nel nostro territorio arricchisce il già prezioso martirologio gaetano.
   Alla luce di tali considerazioni storiche, culturali ed agiografiche, è opportuno dichiarare che se la nostra città trascurasse san Nilo, dimenticherebbe “una parte di sé, della propria storia, delle radici della propria memoria[3]. È doveroso terminare questa introduzione al Mese Niliano con un aforisma attribuito a san NIlo: “Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce”; lasciamo dunque che l’insegnamento di san Nilo continui a comunicare sublimi messaggi di salvezza. Di fronte alle tenebre che affliggono il nostro tempo, impariamo a “riaccendere la luce di S. Nilo […] nel convincimento che «parva scintilla magnum excitavit incendium»[4], la piccola scintilla di Nilo ha generato un grande incendio. Ognuno di noi, nella contemporaneità, è chiamato a tenere vivo questo incendio derivante dalla parola di Dio annunciata da Nilo nella nostra Gaeta.

  
          di Dott. Giuseppe Montagna





[1] G. Sapia, Λέγειν καί πράττειν – Prolusione, in Atti del Congresso Internazionale su S. Nilo di Rossano, Rossano-Grottaferrata 1989, pp. 1-13
[2] L. Tardo, San Bartolomeo il Rossanese 980-1055, Studio Zeta, 1966
[3] C. Santoro, S. Nilo e Rossano - «Rivisitando» le pagine del Bios, in Atti del Congresso…, cit., pp. 153-154
[4] V. Filice, Un salto all’indietro di 110 anni. La figura di San Nilo da Rossano nella Calabria Bizantina: “parva favilla magnum excitavit incendium”; fonte telematica dell’Istituto per gli Studi Storici di Cosenza (www.studistoricicosenza.it)

Ingresso dell'Icona della Discesa agli Inferi (Anastasis) - foto di G. Palmieri

Benedizione dell'Icona della Discesa agli Inferi (Anastasis) - foto di G. Palmieri








Concettualmente ritenuta come una variante dell’Anastasis bizantina, l’icona della Discesa agli Inferi dipinta dall’Atelier Iconografico del Monastero di Bose rappresenta il momento del risollevamento, la Risurrezione, da noi proposta secondo un modello figurativo semplificato rispetto al tipo tradizionale bizantino.
   Gesù, affronta il suo ultimo stato “sulla via dell’umiliazione”, con in mano la pergamena del giudizio delle anime che condurrà a risorgere. Afferra il braccio del vegliardo Adamo per condurlo con sé tra i cieli, accompagnato dalla speranzosa e commossa Eva. Dalla nera voragine, un abisso spalancato, il Cristo emerge scardinando le catene e il lucchetto delle porte degli Inferi, spezza le catene poggiandosi al di sopra dei legni sovrapposti a ricordo della Croce, incarnando quanto leggiamo nella prima Lettera di Pietro: “Cristo in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione".
   Cristo vestito di bianco, riluce glorificato e glorificante agli stupiti progenitori, poichè: “L’incontro tra la mano di Dio e la mano dell’uomo, è dunque il gesto della misericordia e del perdono, l’unica forza che salva, quel gesto che raggiunge, a partire da Adamo ed Eva, ogni uomo”. In quel gesto troviamo la massima misericordia del Dio Trinitario nei confronti del primo uomo e della prima donna che includono in se stessi l’umanità intera, esiliati nell’oscurità come segno di lontananza da Dio e da lui stesso ricondotti alla luce per mezzo del Figlio. In tale profondità assoluta colui che è disceso agli inferi risana la natura umana dalla morte e la riporta in vita.
   Nel braccio superiore dell'icona è dipinta la bianca colomba dello Spirito Santo che scende in volo verso Gesù. Nel corrispettivo inferiore l’iscrizione Descendit ad Inferos, tertia die resurrexit [Discese agli Inferi, il terzo giorno risuscitò]. La natura arida è portavoce simbolica della condizione peccatrice umana, che sarà resa nuovamente feconda nella vita celeste, nel mistero di una comunione con Gesù Risorto. Il Trionfante si manifesta col nimbo crociato alla maniera bizantina classica, recando, come nella forma pantocratica sul portale della chiesa, le lettere omicron omega e ni, Io sono colui che sono, piena manifestazione del Padre nel Figlio poiché come ci insegna Padre Alberto Piovano: “Non ci sono inferi che l’uomo sperimenta, in cui non possa abitare la potenza del Risorto. Essa ci prefigura ciò che è accaduto e accadrà poiché: ieri sono stato sepolto con te, o Cristo, oggi risorgo con te che risorgi”. 
                                                            estratto dal libro "San Nilo Abate. Civis Cajetanus"


PREGHIERA DINANZI ALL'ICONA



Svegliati, tu che dormi (Ef 5, 14)!

Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero degli inferi.

Risorgi dai morti ! Io sono la via dei morti.

Risorgi, opera delle mie mani, mia icona, fatta a mia immagine!

Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te, siamo infatti un'unica e indivisa 

natura.

Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio.

Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo.

Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra.

Per te, uomo, ho condiviso la debolezza umana,

ma poi sono diventato libero tra i morti.
San Nilo e il gioiello donato in occasione dell'XI centenario della nascita